venerdì, novembre 03, 2006

Volver


Non c’è regista più afferrato di Pedro Almodovar nel raccontare il mondo delle donne. Incredibilmente a suo agio quando racconta storie di ordinaria gestione quotidiana del gentil sesso riesce sempre a cogliere nel dettaglio l’universo femminile. Dopo la parentesi puramente maschile de “La mala educacion” si dedica ad un film in cui il tema principale è il ritorno. Volver, appunto, tornare. Il suo ritorno al soggetto preferito, le donne; il ritorno di una madre che scompare improvvisamente dalla vita delle proprie figlie; il ritorno alla Mancha, suo luogo di nascita e di formazione. Formazione e crescita che influenzano non poco questo film. Come ci spiega lui in un’intervista “Sono stati i miei ricordi personalissimi ad ispirarmi questo film. I primi otto anni della mia vita che ho vissuto a La Mancha, dove il cortile diventava il mio mondo, tutto al femminile, che mi permetteva di vedere la vita dal vivo”. La vita, la Mancha, la femminilità i tre temi portanti di quest’opera del regista spagnolo. La femminilità sopra a tutto, come dimostra l’utilizzo quasi spietato della macchina da presa in una costante azione adorativa delle forme e della sensualità di un’esaltante Penelope Cruz. Ma anche femminilità intesa come modo di vivere, come presenza nella vita e nello schermo. Gli uomini hanno il destino di essere una parte secondaria, quasi scomoda nei film di Almodovar e in questo ne abbiamo ulteriore conferma. Nessun uomo verrà ricordato dopo i 120 minuti di visione. Resteranno bene impresse invece le 5 attrici, tutte premiate al 59esimo festival di Cannes.La Mancha, con il suo vento che fa diventare pazzi, e i suoi mulini rimembranti ancora di fantastiche azioni eroiche di Don Chisciotte col suo umile scudiero Sancho Panza.La Mancha con la sua strada principale in cui si elabora tutta la storia. Fatta di portoni che si guardano e nascondono vite complesse e misteriose al loro interno. La Mancha fatta dalla sua gente e dalle sue pazzie. E poi c’è la vita. Omaggiata dalla prima all’ultima scena, resta il vero, grande, traino del film. La vita a cui il regista rende omaggio partendo dalla sua antitesi, la morte. La leggerezza con cui le donne del film sanno interpretare la morte non può che ritenersi un inno alla vita, un costante richiamo alla gioia che essa ti concede. Non troveremo all’interno dell’opera un solo lamento rivolto alla morte, anzi, troveremo subito delle donne spolverare le tombe dei loro defunti, lottando contro il solano, il vento prima citato, ma con una serenità e leggerezza che lasciano quasi sconcertati.C’è tutto in questa scena iniziale. Il vento, la vita, la morte e le donne.Donne forti come Raimunda, o più deboli come Augustina, una quasi suora Hippy con la marijuana in giardino, o donne ancora da formare come Paula, la figlia . Sono loro che caratterizzano la storia del grande Pedro. Un film da vivere dall’inizio alla fine, ammirando il magnifico utilizzo dei colori, il tanto attento quanto raffinato utilizzo della macchina da presa e l’omaggio, cercato e voluto, fatto dal regista alle nostre attrici italiane Anna Magnani e Sofia Loren. Il tutto esaltato da una superba Penelope Cruz, poderosa nel riempire lo schermo anche solo con uno sguardo o una camminata.

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